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giovedì 13 luglio 2017

Il bottone rosa

(di Giovanna Rotondo Stuart) 



Michele non aveva voluto nessuno alla stazione, non gli piacevano le scene patetiche. Andava solo al Nord.  A Milano!
Il treno era partito con il solito ritardo, ma a lui proprio non importava. Si era seduto all’unico posto vuoto del suo vagone, il suo, vicino alla porta del corridoio.
Di striscio, dall’altra parte,  verso il finestrino, aveva notato una ragazza che, a prima vista, sembrava non avere ancora vent’anni. Non si era preoccupato di guardare gli altri passeggeri. Se n’era uscito dallo scompartimento poco tempo dopo.




Sentiva un malessere profondo in tutto il corpo, faceva fatica a stare seduto, gli mancava l’aria! Era presto, avevano viaggiato meno di un’ora. Prevedeva una lunga notte insonne. Aveva tentato di leggere ma non era riuscito a concentrarsi. Le parole gli scivolavano via.
“Quando sarò stanco di stare in piedi mi siederò in qualche angolo, anche sul  pavimento o mi cercherò un altro posto”.
Il treno era abbastanza pieno ma non affollato e non avrebbe più avuto fermate intermedie fino ad Ancona. Ogni posto libero avrebbe potuto essere scambiato con quello prenotato.
Non era il posto il suo problema, né i suoi compagni di viaggio a cui non era minimamente interessato. Ma la sua realtà di precario, una  realtà faticosa quella del precario… piena di rabbia e frustrazioni!
Era diretto in una città che non conosceva  e dove non conosceva nessuno, neanche per sentito dire, solo il nome di un paio di associazioni. Doveva fare qualcosa, trovare qualcosa da fare abbastanza in fretta.  Non aveva molte disponibilità finanziarie!


Si mise a passeggiare su e giù, piccoli passi per allentare la tensione e la stanchezza. Intanto che si muoveva, più che altro in piccoli cerchi, vide qualcosa sul pavimento, anzi, lo guardò due o tre volte prima di notarlo. Una cosina chiara, non era una pezzo di carta, lo sfiorò con la punta della scarpa… un piccolo oggetto.
Si chinò per vederlo meglio: “Qualcuno ha perso un bottone”. Lo raccolse. Un bottone abbastanza grande, rosa. Certamente appartenente a un indumento femminile. Un bottone carino. Un bottone rosa. Lo rigirò più volte, guardandolo: liscio, lucido, con quattro buchi nel mezzo, appariva molto ornamentale.
Senza dubbio era caduto da un indumento leggero, doveva essere di  una donna giovane, si sentì un po’ stupido. Le donne oggi vestivano abiti colorati e originali soprattutto da anziane. Le sue amiche e le sue sorelle erano spesso abbigliate con jeans e cose nere o scure.
Ma aveva un grande bisogno di sentirsi meno disperato, di pensare a un futuro più roseo. Quel bottone senza valore gli sembrava la scarpetta di Cenerentola!
”Chissà, magari  mi porterà fortuna!”
Più sollevato, lo mise in una tasca. Era tempo di riposare un poco, incominciava ad albeggiare. Se ne ritornò al suo posto e ripensò a un programma per il suo arrivo a Milano. 
La ragazza, “graziosa a guardarla meglio”, che aveva intravisto qualche ora prima,  sonnecchiava con la bocca semiaperta.
“Devo trovare un luogo per dormire, una pensioncina o un B&B”,  ripeté a se stesso per l’ennesima volta.
“O forse sarebbe meglio se mi cercassi prima una Parrocchia”.
Aveva la lettera di referenze del suo Parroco, l’aveva voluta sua madre, gliel’aveva piegata e messa con cura nella carta d’identità!
Sì, avrebbe girato le parrocchie finché non avesse trovato qualcuno disposto a dargli delle indicazioni.  E, su questo pensiero, si appisolò.
Si svegliò ad Ancona, erano arrivati quasi in orario. La ragazza seduta dall’altra parte, verso il finestrino, si stava preparando per scendere e raccoglieva le sue cose: “piccolina e minuta”, lei si sentì osservata e gli  sorrise, anche lui  abbozzò un  sorriso.

Michele salì sul Freccia Bianca, la coincidenza per Milano in attesa di partire sul binario opposto, e non si preoccupò di andare a cercare il suo posto, aveva tempo. L’avrebbe fatto quando tutti gli altri si fossero seduti.
Viaggiava con uno zaino voluminoso e pesante. Aveva messo qualche cambio e una giacca a vento perché al Nord fa freddo, gli dicevano tutti… capita che faccia freddo anche d’estate. Bé,  fra poco avrebbe constatato di persona!
Il treno incominciò a muoversi,  prese velocità in breve tempo e dopo dieci minuti si trovò fuori dall’area della stazione. ”Fra poco non vedrò più il mare”!  Una vita senza mare era difficile da immaginare per lui, ma non voleva che gli venisse il magone un’altra volta. 
Pensò al suo bisnonno che se n’era andato a cercar lavoro in un lungo viaggio, a quei tempi senza ritorno, al di là dell’oceano! Lui avrebbe potuto prendere il treno, o un aereo, in qualsiasi momento per tornare a casa.
Non c’era lavoro dalle sue parti: ce n’era solo di un certo tipo e lui non lo voleva. Sapeva di non essere intraprendente, ma era determinato. Si rendeva conto che se avesse aspettato troppo a lungo sarebbe rimasto fuori dal circuito del lavoro, come tanti giovani del sud che lui stesso conosceva. Doveva andare oltre la soglia di casa, inventarsi qualcosa.



Si ricordò del bottone che aveva trovato e lo prese per guardarlo:  stava diventando magico per lui! Forse era stato smarrito da quella giovane che era seduta nel suo scompartimento e che aveva visto salire anche sul Freccia Bianca. Chissà da dove veniva.  Fantasticò un poco:
“Deve essere italiana”.  Avrebbe voluto chiederle se avesse perso lei il bottone. Era l’unica donna  che aveva notato nei pressi in cui l’aveva trovato. Forse avrebbe dovuto chiederglielo, forse!
Sospendendo la ridda dei pensieri, andò a cercare il suo posto e si accomodò.  Mancavano un paio d’ore all’arrivo a Milano. Il tempo era volato. “Mangerò qualcosa, almeno non avrò fame e, una volta arrivati, prenderò un caffè”.
Tirò fuori la Mappa di Milano e diede un’occhiata veloce, quasi a ripassare la lezione. Se chiudeva gli occhi vedeva l’impianto della città davanti a sé!
Prese lo zaino, non sapeva cosa c’era nel pacchetto che gli aveva preparato sua madre. Ci trovò della frutta tagliata e pronta per essere consumata, un paio di pagnottone ripiene di verdure, formaggio e prosciutto e un paio di bottigliette d’acqua. “Ce n’è abbastanza anche per stasera”. Incominciò ad aggredire una delle pagnotte,  una ragazza, seduta di fronte a lui, lo guardava sorridendo:
-         Buona colazione…
-         Ha preparato tutto mia madre… posso offrirti un po’ di frutta? 
-         Ho già mangiato qualcosa.  Grazie.
Michele la guardò con più attenzione: 
-         Ma tu sei la ragazza che era seduta nello scompartimento dell’Intercity, da Lecce.  Io sono Michele. Vado a Milano.
-         Anch’io. Si ti ho visto sul Lecce/Ancona… ti ho osservato camminare su e giù per il corridoio, sembravi agitato.
-         E lo ero, lo sono anche adesso,  mi sono dato una regolata!
-         Che cosa vai a fare a Milano?  se posso chiedere…
-         Cosa vuoi che vada a fare un figlio di mamma come me?
L’essersi già visti sull’altro treno li faceva sentire meno   estranei, avevano qualcosa in comune e, come tutti i giovani, si trattavano con familiarità.
-         Non so,  il turista, vai all’Università… a trovare degli amici.
-         Magari! Vado a cercar lavoro. Ho finito la scuola d’Arte due anni fa e non sono riuscito a trovare nulla. Ho lavoricchiato in nero qua e là, null’altro. Devo tentare altre strade. Andrei  in capo al mondo, pur di lavorare!
-         La solita tragedia…
-         In futuro, se riuscirò a mantenermi, riproverò a studiare. Mi piacerebbe frequentare una scuola come il DAMS di Bologna o Brera a Milano.
-         Ti piace l’arte…
-         Si, i miei farebbero ancora sacrifici per farmi continuare ma sono io che non voglio. Ho anche due sorelle più piccole. Mia madre è una precaria della scuola. Solo mio padre ha un posto fisso. Come vedi non c’è da scialare.  Stiamo bene insieme e io proprio non me ne volevo andare e neanche i miei volevano che partissi.  Adesso vado su. Faccio come il mio bisnonno che è andato in America.  Bé,  non voglio fare lo strappalacrime, poi, non è come andare in America… posso ritornare a casa quando voglio…
Tacque pensieroso,  aveva detto tutto, tutto di un  fiato, si sentì arrossire e si vergognò un poco:
-         Scusami, non volevo.
-         Sembra la storia dei miei nonni paterni. Anche loro sono venuti in su dopo la guerra e si sono fermati.
-         Di dove sono?
-         Di Nardò…
-         No, non è possibile, mia madre è di Nardò!  Mi sembra incredibile…
-         E’ proprio vero che il mondo è piccolo! Magari si conoscono anche…  Noi viviamo a Milano. Io abito con i miei genitori e ho una sorella più grande. I miei nonni sono ritornati a Nardò. Avevano comprato una casetta e ci tornavano in vacanza tutti gli anni. Alla fine si sono fermati. La vita è più facile in un piccolo centro quando si è anziani, penso.
-         Mia madre ha molti parenti a Nardò… forse si conoscono per davvero.  In che parte di Milano abiti?
-         Verso S.Siro.
Michele guardava la ragazza seduta di fronte a lui cercando di non farsi notare, gli piaceva molto! Lei non gli aveva detto come si chiamava e lui non osava chiederglielo. Era sempre stato un tipo riservato. Era carina, magra, aveva i capelli chiari, lineamenti regolari.  “Deve avere più o meno la mia età. Chissà se studia o lavora”.
-         E tu?
-         Io? Intendi dove dormirò? Non lo so! Mi devo trovare un posto per dormire.  Ho qualche indirizzo.  Qualcosa troverò.
Si sentiva  imbarazzato e confuso: 
“Spero che non pensi che sia un poco di buono”. La ragazza si rese conto del disagio di lui e, con un sorriso semplice, gli disse:
-         A proposito, io sono Anna.
Se ne stettero in silenzio qualche minuto. Lui pensava alla sua famiglia. Sapeva che ci sarebbe stata sempre, che sarebbe potuto ritornare a casa in qualsiasi momento, era la sua àncora, la sua sicurezza, il suo porto! Non voleva pensare al futuro.  La cosa lo fece sentire meglio.
Si mise a cercare un indumento, nell’abbigliamento della ragazza, da cui si fosse potuto staccare il bottone.
“Non posso chiederle se ha perso un bottone rosa. Non potrei restituirglielo. Se è suo, spero che non le manchi”.  Era diventato importante per lui. Era il suo portafortuna!
-         Prendi spesso il treno?
-         Si, mi sento più indipendente. Non ho bisogno di farmi portare all’aeroporto o di farmi venire a prendere. A Lecce ho la coincidenza subito per Nardò e viceversa.  E posso decidere all’ultimo momento. Non prendo la cuccetta perché non mi piace, mi viene la claustrofobia a stare chiusa in uno spazio così esiguo. E non sai mai con chi ti tocca dividere lo scompartimento…
-         Anch’io ho preferito prendere il treno, almeno per questa volta. Volevo arrivare al mattino e avere tutta la giornata davanti.
Il Freccia Bianca stava rallentando la sua corsa, ancora pochi minuti e sarebbero entrati nella stazione Centrale di Milano.  Michele cercava di darsi un contegno, non voleva far trasparire il suo dispiacere nel salutare la ragazza. Stava pensando a come chiederle di rivederla, senza apparire indiscreto.
Cercò di raffigurarsi, sapeva di avere un aspetto gradevole. L’aspetto di un ragazzo come tanti! Indossava blue jeans, maglietta e scarpe da tennis. Non aveva segni particolari: era di statura regolare con occhi e capelli castano scuri. “Chissà come mi vede”. In quel mentre, lei gli parlò, pensierosa:
-         Se vuoi ti do l’indirizzo della trattoria/pizzeria dove lavoro il venerdì sera   e tutto il giorno sabato, chiedi di Lorenzo, il padrone. Ti può indicare dove andare o darti qualche consiglio. Il posto si chiama Nord/Sud. Ti do il bigliettino. Dì a Lorenzo che ti manda Anna. Io gli telefonerò. Puoi venire a trovarmi, se vuoi, se hai nostalgia di casa… se senti il bisogno di parlare con qualcuno che viene, in parte, dalle tue parti…
Lui la guardava allibito, non riusciva a credere alle sue orecchie, non riusciva neanche a sentire bene. Gli girava la testa  per l’emozione…
-         Sono un bravo ragazzo!
Lo disse d’impulso, come a rassicurarla e, anche se l’abito non fa il monaco,  l’aspetto e il sorriso del bravo ragazzo lui, in quel momento, ce li aveva proprio!



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