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domenica 25 giugno 2017

Il segreto di Remì - Ritratti 2

di Annalisa Petrella



 Era un uomo mite dall’aspetto insignificante e dall’età indefinibile compresa tra i cinquanta e i sessanta, la sua statura accentuata era mitigata dall’incurvatura delle spalle nelle quali s'incuneava, a mo’ di tartaruga, un collo sottile che terminava in una testa oblunga spelacchiata coperta quasi sempre da un vecchio cappelluccio a tesa stretta.


In ufficio sembrava che non esistesse per nessuno perché non c’era persona che gli rivolgesse la parola o mostrasse attenzione nei suoi confronti. Arrivava ogni giorno in Rue de Vitesse al numero 11 con quindici minuti d’anticipo sull’orario di servizio, entrava nell’atrio furtivamente, quasi a volersi nascondere, salutava il portiere con un timido cenno del capo e si infilava nell’ammezzato dove raggiungeva la sua postazione nel gabbiotto buio che affacciava sullo stretto cavedio del palazzo. Poi, finalmente solo, dopo aver appeso accuratamente dietro la porta il lucido pastrano demodé, iniziava il suo lavoro di archivista della piccola casa editrice dal nome ambizioso “Le monde” dove era impiegato da venticinque anni, sempre con la stessa mansione.
Non si può dire che il suo compito gli pesasse, anzi lo svolgeva con grande scrupolo e precisione, e lo aveva ben capito il redattore capo, Monsieur Cadit, che, consapevole della mole di lavoro che Remì Asbert si sobbarcava da solo sei giorni su sette, senza mai avanzare pretese di miglioramento, gli aveva fatto pervenire tre anni prima una lettera di elogio che gli aveva fruttato un piccolo scatto economico. Remì, nella sua incommensurabile modestia, ne era rimasto sorpreso e gratificato, non tanto per l’impercettibile aumento di stipendio quanto per il riconoscimento inaspettato e conservava gelosamente la lettera nel primo cassetto del suo comodino.

Si sapeva poco di lui tranne che abitava da solo in zona Montparnasse in un appartamento appartenuto alla madre con la quale aveva vissuto fino alla sua morte avvenuta diciotto anni prima. Qualcuno diceva che quando la madre era in vita Remì fosse diverso, riservato sì, ma un po’ più socievole; capitava che durante la pausa caffè scambiasse qualche chiacchiera con i colleghi d’ufficio e, una volta, aveva addirittura accettato di uscire a cena con il gruppo per il festeggiamento della promozione di Monsieur Cadit.  La sua ritrosia si era trasformata in chiusura totale a seguito della dipartita della madre. Dopo il funerale Remì era rientrato subito in ufficio, aveva chiuso tutti i boccaporti e non aveva comunicato più con nessuno, se non per l’indispensabile. Monsieur Cadit, aveva creduto di aiutarlo quando, dopo un colloquio riservato, lo aveva spostato su sua richiesta a lavorare in totale isolamento nel bugigattolo e aveva invitato gli altri a rispettare il suo bisogno di tranquillità. Le curiosità e le dicerie su Remì, compresa l’illazione su un probabile amore non corrisposto in gioventù, si erano presto spente e l’uomo era diventato invisibile per tutti.

Nessuno l’avrebbe mai immaginato ma Remì aveva una mente artistica e amava scrivere poesie, lo faceva in gran segreto a casa, la sera dopo cena. Disponeva sul tavolo del tinello una risma di fogli azzurri e un quadernetto rilegato - di quelli che si possono chiudere con l’elastico - le cui pagine erano profilate di un color rosso ciliegia, si concentrava sui propri appunti e s'immergeva in una miriade di pensieri collegati tra loro da emozioni, ricordi e fatti vissuti, il percorso non sempre era semplice perché le divagazioni lo portavano lontano, ma quando riusciva a cogliere l’idea, quella giusta, la trasferiva delicatamente sul foglio azzurrino che aveva davanti, scrivendola a matita,  quasi fosse un fragile fiore da trattare con cautela. Il fruscio dei pensieri prendeva forma e si trasformava in versi poetici che Remì lasciava sedimentare fino alla sera successiva dedicata al lavoro di limatura: l’uomo rileggeva, aggiungeva, cancellava senza remore, con l’obiettivo di ottenere un testo pulito, leggero che poi veniva ricopiato con il lapis sul quadernetto nero. Le poesie erano numerate e suddivise per tema. I quaderni erano tanti, ormai erano diventati una piccola collezione che accompagnava la sua vita.
Ce n’era uno però che non aveva più toccato da anni, lo aveva messo sullo scaffale in alto e non aveva più voluto aprirlo da quella notte. L’ultima.

La routine giornaliera di Remì Asbert era invalicabile tranne che per un’eccezione: ogni giovedì alle ore 13, durante la pausa pranzo, con passo lesto e ben orientato si recava in una pasticceria dall’insegna immaginifica “Chocolat et autres choses” in Rue Rocambolesque 23, un locale bello e accogliente che per lui era diventato il luogo ideale; lungo il percorso a piedi che divideva l’ufficio dal negozio la sua postura usualmente ingobbita si modificava e la figura si ergeva riacquistando i centimetri di statura sacrificati, il viso dall’espressione sempre severa e sfuggente si trasformava disponendosi a un celato sorriso che evidenziava due occhi brillanti dal raro colore pervinca.
Varcando la soglia della pasticceria veniva subito avvolto dal suono diffuso della musica classica, si toglieva il cappello e salutava con una certa deferenza madame Josephine, la pasticcera:
     - Buongiorno, Madame Josephine, ben ritrovata, cosa ci riserva di buono oggi?

Madame Josephine, donna amabile dal sorriso contagioso e dalle forme floride, ben evidenziate dal vezzoso grembiule bianco, lo aspettava con una certa trepidazione e con voce flautata rispondeva:
-         Monsieur Remì, è sempre un piacere averla qui, oggi poi c’è una sorpresa per lei, un piccolo esperimento sulla Sacher che le chiedo, da vero intenditore, di testare. Si accomodi pure che arrivo subito.
Le proposte variavano quotidianamente in base alla fantasia della pasticcera che con la sua arte magica sfornava delizie da primato mondiale: torte paradiso, ciambelle, plumcake, crostate, strudel decorati con la panna, cheesecake, Monte Bianco, Sacher, Saint Honoré, dolci al cucchiaio. Di tutto e di più.
La sosta in pasticceria risvegliava in Remì un piacere primordiale, un godimento di tutti i sensi. La vista, il profumo, il contatto con i dolci e il loro gusto, esaltato dal suono delle voci garbate sullo sfondo della musica di Mozart, trasformavano la sua pausa pranzo del giovedì in momenti indimenticabili che lo trasportavano in una dimensione multisensoriale da sogno. La presenza della pasticcera poi, la cui fama attirava numerosi clienti, completava il suo benessere e lo faceva lievitare felicemente sollevandolo da una quotidianità monotona e stantia.  Nel locale ampio e luminoso, decorato tutt’intorno da una delicata boiserie color panna, lavoravano anche due commesse e un aiuto pasticcere che consideravano Remì uno dei clienti migliori. Madame con loro era stata chiara:
-         Monsieur Remì è un ospite speciale da trattare con ogni riguardo!

L’uomo si accomodava a un tavolino d’angolo, sempre lo stesso, ricoperto da una tovaglia di fiandra color champagne sulla quale erano appoggiati una zuccheriera di alpacca argentata e un lezioso tovagliolino bordato di pizzo e aspettava Josephine per il rituale scambio di convenevoli prima di fare l’ordinazione. Nel frattempo apriva uno dei suoi quadernetti dalla copertina nera e si disponeva a scrivere con il suo lapis di foggia classica.
 Quando Josephine finalmente riusciva a raggiungerlo al tavolo servendogli la leccornia del giorno la sua beatitudine raggiungeva il massimo perché la donna era l’unica persona con la quale Remì si sentiva a proprio agio, la sua presenza gli risvegliava una sensazione di armonia che il profumo della donna, combinato con quello delizioso dei dolci, amplificava trasformandola in uno stato di piacere complessivo che non ricordava di avere mai provato. Ovviamente l’uomo sapeva ben celare i propri sentimenti, controllo e discrezione erano il suo imperativo categorico, per cui si limitava a scambiare qualche frase apparentemente di nessun conto sul tempo, la salute o poco altro, ma ormai entrambi avvertivano che in quello scambio passava qualcosa di più profondo che li univa e, ogni volta di più, si suggellava un’intesa autentica non rivelata.
I primi tempi in cui Remì era apparso in pasticceria Madame Josephine aveva provato nei suoi confronti soprattutto un senso di rispettosa pena per il suo modo di essere che faceva trasparire un senso di solitudine totale, inoltre la inteneriva il tratto educato e sempre gentile dell’uomo che lo distingueva dalla clientela media. Ma quando un giorno le capitò di cogliere in due clienti abituali piuttosto sfacciati un atteggiamento di vaga sufficienza nei confronti di Remì, la donna, amareggiata dalla loro superficialità, avvertì dentro di sé il risveglio di un senso di protezione nei suoi confronti e da quel momento esibì apertamente in negozio una considerazione che Remì non aveva mai ricevuto da nessuno. In verità Madame si era resa conto che Remì le interessava sempre di più, si sentiva attratta da lui per il suo indubitabile stile e anche se, per certi versi, era un uomo imperscrutabile, capiva che aveva un’anima degna, infine non le erano sfuggiti i segni delle sue palpitazioni amorose quando gli stava vicino, cosa che faceva pensare a una passionalità frenata da un’estrema timidezza. Il che non guastava. Per cui la donna, sola da troppo tempo, capì che se non avesse preso lei l’iniziativa tra loro non sarebbe mai successo niente: i dolci del giovedì erano stati il filo conduttore ma era ora di varcare la frontiera delle formalità e partire all’attacco.  Un giovedì di maggio gli chiese con nonchalance cosa scrivesse sui quadernetti che portava sempre con sé. Lui aveva sussurrato, arrossendo un po’:
-Tento di scrivere poesie, una compagnia per la mia anima solitaria.
- Se non le dispiace, mi piacerebbe leggerne una.
- Ne rimarrebbe delusa e non vorrei…
- Monsieur Remì, io faccio i dolci che lei ben conosce da anni, mi offra in cambio la lettura di una sua poesia. Ne sarei onorata!

Remì, turbato, non volle scontentare Josephine e le offrì una poesia sulla primavera che la donna trovò bellissima.
-         Un vero poeta, in pochi versi mi ha ricordato le sere della mia infanzia felice nel giardino di casa e la ringrazio.

Fu così che ogni giovedì tra una cioccolata calda e un biscotto alla crema l’uomo dedicava una poesia a Josephine e, mentre gliela leggeva, aveva imparato a sorridere svelando espressioni del volto che ai suoi occhi lo facevano apparire bello e romantico.

I biglietti per il concerto li aveva procurati Josephine, fingendo che le fossero stati regalati. Ce ne volle per combinare la serata perché Remì appariva incerto, quasi impaurito dalla proposta. Finalmente s'incontrarono e lui rimase folgorato dall’eleganza di Josephine che, a sua detta, lo faceva sfigurare. Stettero bene insieme e tornando a casa la donna gli raccontò a grandi tratti la propria vita. Semplicemente.  Gioventù, felicità, vedovanza precoce, sofferenza, l’arte della pasticceria, la rinascita. Di contro Remì si limitò a poche parole sugli studi, la musica, la madre, il lavoro. Una vita da poco, così disse e Josephine rifiutò questa definizione sminuente. Gli fece notare, per incoraggiarlo ad aprirsi, che era stato un bravo studente, un buon lavoratore e, soprattutto, un figlio devoto che si era sacrificato molto per assistere la madre durante la lunga malattia. E questo non era poco.
 L’uomo di colpo si chiuse in un silenzio totale, il volto pallido e l’espressione quasi trasparente facevano pensare a una volontà di estraniamento dal presente, quasi a un tentativo di fuga in un luogo lontano. Lei avvertì tutto il peso della sua sofferenza di cui non conosceva la ragione, lo prese sottobraccio e parlando sottovoce fece qualche tentativo per risvegliarlo dall’angoscia che visibilmente lo attanagliava, ma Remì era irraggiungibile. Quando arrivarono sotto il portone di casa, lei strinse tra le sue le mani dell’uomo, lo guardò negli occhi e gli disse: - Si ricordi che io ci sono e che le voglio bene. Buonanotte, Remì!

Il giovedì successivo Remì non si presentò in pasticceria, era la prima volta che accadeva dopo sei anni. Josephine, preoccupata, gli scrisse subito un biglietto che gli fece recapitare in ufficio: - Caro Remì, mi permetto di darti del tu perché mi è più facile parlarti da amica: non so se ho sbagliato qualcosa con te e, se l’ho fatto involontariamente, ti chiedo di scusarmi. Non conosco la causa dei tuoi turbamenti ma sappi che nulla mi potrebbe allontanare da te. Per me sei insostituibile. Ti chiamo stasera. JO.

Remì rispose al quarto squillo della seconda chiamata e le disse con voce atona:
-         Non hai sbagliato nulla tu, sono io che non ti merito.
-         Vediamoci e parliamone, subito Remì, non dobbiamo buttare via il nostro tempo! Vengo subito a casa tua.
L’uomo scese e la guardò con una tristezza infinita, era avvilito e sconsolato.
 Jo lo prese per mano e lo accompagnò nell’appartamento. Entrando avvertì un senso di oppressione, i mobili, gli oggetti, le tende, tutto era fermo nel tempo, i colori lividi, l’atmosfera cupa di un’epoca passata che ricopriva ogni cosa. Si accomodarono al tavolo e Remì, come un automa, si mise a prepararle un caffè.
Nell’attesa lo sguardo di Jo percorse le foto esposte sulla credenza e vide Remì nelle varie fasi della sua crescita accanto a una donna avvenente, sicuramente la madre, che esibiva un’espressione volitiva e amabile. Niente uomini, soltanto loro due.
Jo non si pose domande e seppe rispettare il silenzio dell’uomo aspettando. Finalmente Remì si alzò e si diresse alla libreria dove, sollevandosi sulle punte dei piedi, arrivò a prendere il quadernetto dimenticato: Maman.
Aprì l’ultima pagina scritta e l'offrì a Jo, abbassando il capo in segno di resa.

La donna leggeva in silenzio e l’uomo la guardava intensamente mentre rivoli di lacrime si riversavano sul suo volto in una sorta di lavacro purificatore: fiumi di salmastro, stagni di fanghiglia, correnti di mari asiatici dai gorghi infidi, cascate egizie irte di sassi cuneiformi, cateratte sciabordanti di alghe brunastre, maree impercettibili e invasive, tutto si scioglieva, le contaminazioni si stemperavano, i fluidi metafisici scorrevano liberi fuori dai suoi occhi e dalla sua anima devastata dal fantoccio, ormai smascherato, di una colpa senza fine.

E le parole uscirono:

-         Era agli sgoccioli e m'implorava di aiutarla, non si muoveva più dal letto e mi chiedeva di farla finita. No, dicevo io, non posso farcela, voglio che tu viva. Distrutta dal dolore e dalla disgregazione di un corpo che era stato una roccia e che mi aveva sostenuto in ogni momento mi insultava, quasi beffarda, per la mia codardia. Ipocrita, non vedi che questa non è più vita. Abbi il coraggio di chiamare col suo nome questo straziante e inutile inferno: agonia senza speranza, senza pausa, senza limite al dolore, ti prego …voglio dignità, voglio poterti sorridere e non urlare… non voglio più soffrire …io ti ho dato la vita… e io ora ti chiedo di lasciarmi andare via. Un gesto di coraggio, figlio mio, passami soltanto la scatola e poi provvedo io.

Sono rimasto con lei fino alla fine e, mentre precipitava nel sonno, mi ha stretto la mano bisbigliando: - Tesoro mio, perdono!
Il medico ha subito detto che finalmente era venuto il suo momento, ma io… non posso dimenticare e non me lo sono mai perdonato. Avrebbe…

Jo appoggiò la mano sulla sua e gliela strinse, come per zittirlo.
Rimase in silenzio tenendo lo sguardo fisso sulla pagina, senza più vederla, la sua mente correva dietro ai propri ricordi e rivide per un attimo il volto di Serge esangue, era così giovane e sfortunato…Cacciò via quei pensieri, non aveva più senso rifugiarsi nel passato. Tornò in quella stanza e le parve di sentire l’eco della voce di Remì bambino che giocava con la madre bella e piena di energia. Il presente con i mobili e le suppellettili del tinello raccontava la storia di una tragedia che aveva bloccato tutto da anni.
Faticosamente si provò a reagire e si alzò, ma era difficile raccogliere le forze. S'impose di farlo e prese dal ripiano l’immagine più bella che li ritraeva insieme in un momento felice, erano seduti su un moscone tirato a riva e ciascuno teneva un remo, le due teste si sfioravano mentre ridevano rivolti verso l’obiettivo. Avvertì un fiotto di calore e di profonda empatia per Remì che restava immobile, in attesa della sua condanna.

 La voce le uscì dolcemente, come il canto di un usignolo:  
-         Hai già espiato, Remì, in tutti questi anni, io non credo proprio che tu abbia bisogno di perdono. Non è facile e non so come dirtelo, ma più ci penso e più sono convinta che tu abbia compiuto un gesto d’amore, null’altro che un dolorosissimo gesto d’amore.  


22 commenti:

  1. RACCONTO DELLA MIGLIOR ANNALISA CON TUTTA LA SUA SENSIBILITA'
    Miriam

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  2. Delicatezza e profondità lo rendono bellissimo. Silvia

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  3. Bello! bello e commovente. Mary

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  4. L'ho letto tutto d'un fiato e mi è piaciuto tantissimo. Lucia

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  5. Personaggio degno di un Simenon o di un Marcel Aymé! Anche la pasticcera ha molto fascino! Si legge d'un fiato e con commozione. Scritto molto bene, ricco di sfumature ma senza sbavature. Brava Annalisa. Anna

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  6. Anche io l'ho letto tutto d'un fiato! Un ritratto delicato che in punta di piedi svela note ed emozioni profonde e coraggiose che commuovono e rendono più forti. Un abbraccio, Ludmilla

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  7. Delicato e profondo Annalisa,mi è molto piaciuto!

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  8. I racconti per la loro brevità possono lasciare l'impressione di qualcosa di inconcluso. I tuoi racconti no, sono profondi, ben equilibrati e completi con un finale di grande impatto. Cate

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  9. Dopo il primo racconto mi ero preparato a provare ancora emozioni forti e dure e invece ho trovato una tenerezza dolce e profonda. Davvero brava anche per l'eclettismo dei sentimenti. Vittorio

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  10. Grazie Vittorio!
    Annalisa

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  11. Mi è piaciuto molto questo racconto. Le atmosfere e i personaggi mi hanno fatto venire in mente alcuni romanzi di Simenon. Personaggi carichi di umanità e pervasi da un profondo senso di solitudine. Scritto molto elegante e emozionante. Lucrezia

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  12. Grazie, Lucrezia, il confronto mi inorgoglisce.
    Annalisa

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