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sabato 3 dicembre 2016

La ragazza sul treno... sbagliato


Di Vincenzo Zaccone

Parliamo di qualcosa che tutti sanno per vedere in quanti si sono accorti che il libro e il film di cui si parla sono quelli sbagliati! Non che le rivendicazioni pubblicitarie e i sottotitoli siano onesti, in generale, ma in certi casi sembrano dei veri e propri tentativi di depistaggio!
Comunque andiamo al punto: il successo letterario meritatissimo di Paula Hawkins. Nata in Zimbawe e trasferitasi a 17 anni per vivere il sogno londinese, si laurea a Oxford e inizia a fare la giornalista per il Times. Dopo aver tentato, invano, di raggiungere il successo con quattro romanzi rosa, decide di provare il tutto per tutto con La ragazza sul treno. E, a oggi, sappiamo tutti (ma proprio tutti!) che ci è riuscita!





Il libro viene pubblicato all'inizio del 2015 e ricordo che alla fine dell'anno era ancora in cima alle classifiche dei libri più venduti. Quando ho lasciato l'Italia per trasferirmi a Londra, ho scoperto che anche qui l'andazzo era lo stesso, e, a fine 2016, continua a essere alla prima posizione di vendite nelle librerie. 


Onestamente, ho visto il romanzo sbalzato dalla prima posizione solo da J. K. Rowling e il suo script del nuovo capitolo (teatrale) di Harry Potter. Insomma, quando sono arrivato a Londra, ho deciso di leggere un libro in inglese, per aiutarmi con la lingua, e ci sono cascato anch’io! Mi sono quindi immerso nelle vicende di Rachel per rimanere intrappolato nelle pagine che attraversano e scandagliano la psicologia in difficoltà delle protagoniste del libro. Si dà per scontato che tutti conoscano la trama e cioè che sappiano che Rachel, facendo la pendolare dai sobborghi di Londra alla City, vede qualcosa dal finestrino del treno che la coinvolgerà in prima persona nella sparizione e morte di Megan. Che poi, a dirla tutta, i fatti intorno ai quali si svolge la storia del sospetto e di mistero si riferiscono a ciò che succede giù dal treno e per una casualità che prescinde da quello che Rachel ha visto durante i suoi viaggi giornalieri. Però sono dettagli futili, se si pensa che il libro, e poi il film che ne è stato tratto, spacciano la storia per un thriller mozzafiato. Il punto è proprio questo: La ragazza sul treno è un libro riuscitissimo perché le vicende narrate vengono raccontate dalle tre donne, Rachel, Megan e Anna, che parlano in prima persona dei fatti accaduti e, facendolo, ci rendono testimoni di pensieri, ricordi, difficoltà emotive e comportamentali da cui si colgono i loro processi mentali di persone che hanno più di qualche problema nella gestione della propria vita. La psicologia delle tre donne non viene mai espressa in maniera evidente ma la loro fragilità si disegna attraverso le loro azioni e i loro sbagli riportati nei racconti che fanno, attraverso le loro coazioni a ripetere, le loro scelte impulsive e insensate. Non è un'analisi esplicita e una valutazione su carta di ciò che è successo quella che le protagoniste fanno, ma una confessione, un parlare a se stesse, come se stessero scrivendo un diario e parlando, indirettamente, di cosa muove le loro decisioni, le loro azioni, le loro omissioni. E in quelle confessioni si riesce a cogliere tutto: la fragilità di Rachel, la sua fuga nell'alcoolismo, il rapporto difficoltoso con la madre e il legame morboso con l'ex marito, i giochi di potere di Megan, che nascono tra un tremendo ricordo e che porteranno a numerosi eccessi e alla sua morte, la personalità impaurita di Anna, che rimarrà prigioniera degli eventi e di se stessa. E la parte interessante di tutto ciò è che queste individualità si evolvono lungo le pagine, crescono e si sviluppano in un crescendo di dubbi, insicurezze, scelte sbagliate, vuoti esistenziali, azioni ingiustificate che hanno il solo scopo di assecondare personaggi che non hanno saputo elaborare i lutti della vita, le perdite, le sconfitte e si arrampicano su specchi di felicità transitorie. Ci sono immagini bellissime di percezioni di un vuoto esistenziale che, come un buco nero, porta tutto ciò che ha intorno a collassare rovinosamente. Ed è qualcosa di molto più che descritto, è qualcosa che si percepisce, che l'autrice riesce a fare sentire nelle parole messe insieme dalle protagoniste, senza sapere per certo di cosa stiano parlando. Qualcosa che si percepisce nei gesti a cui si assiste, che più che azioni sembrano tremori. Tutto sembra molto realistico e prossimo a chi legge perché costantemente pervaso da quella incertezza che non può non accompagnare il parlare di se stessi. E tutto ciò riesce a renderlo con una scrittura spezzata, con periodi che s'interrompono di continuo, stanchi, in difficoltà essi stessi, ricchi di segni di interpunzione, frasi interrotte, punti sospensivi, che traducono in vuoti della pagina quelli emotivi.
Il libro è questo, nient'altro. E il motivo per cui così tanti lettori, compreso me, lo hanno amato è per questa capacità di esternare le debolezze e le difficoltà di vivere in maniera così intensa, intrecciando storie in cui le vittime ci sono, e non solo per il fatto che trovino la morte. Invece il libro passa per un thriller dalla trama avvincente. La versione inglese del libro recita nel sottotitolo “Tu non sai chi è lei, ma lei sa chi sei tu”, e questo fa pensare a una morbosa killer che attraverso il finestrino del treno seleziona le sue vittime; ovviamente Rachel non è nulla di questo. Peggio forse l'edizione italiana la quale, innanzitutto sottrae anche al titolo stesso ogni parvenza di intrigo perché “La ragazza del treno” fa pensare che Rachel il treno lo pulisca, lo guidi, lo abbia costruito… Insomma, nulla che insinui l'idea di un thriller. Il sottotitolo invece dice “Non guarderete mai più da un finestrino con gli stessi occhi”, riportando la gravità della questione a fatti che non accadono nel libro. La sparizione e il delitto di Megan semplicemente regalano al libro uno scenario intrigante sullo sfondo del quale le storie delle tre donne s'intrecciano. Di certo il romanzo  avrebbe incuriosito di meno senza un delitto di mezzo e molte meno persone si sarebbero avvicinate all'acquisto se fosse stata semplicemente la storia di tre donne in difficoltà psicologica ed emotiva. Troppa noia, diciamolo pure.  L'assassinio è solo un espediente narrativo (apprezzato!) per aumentare l'appeal dell'intreccio al pubblico, ma niente nel libro è finalizzato a costruire un thriller da brividi. Anche l'attenzione alla psicologia dei personaggi non serve a seguire le fila dell'investigazione come se fossimo in un romanzo della Christie (il genio del giallo, tra l'altro, ha visitato in uno dei suoi romanzi il tòpos del crimine a cui si assiste da un treno in corsa). E poi, non ci sono le investigazioni avvincenti, la disseminazione di indizi, un'intricata rete di vicende, la scoperta di accadimenti che ribaltino la visione del caso, come in un vero thriller. Inoltre, i personaggi in tutto sono sei, si capisce chi è l'assassino ragionando per sottrazione, considerata come viene costruita la storia. Insomma, la trama del thriller è talmente esile da non giustificare le considerazioni che del libro si sono fatte. Avendo vissuto un periodo da pendolare qui a Londra, pensavo che l'assassino fosse Rachel, perché, onestamente, la voglia di ammazzare qualcuno viene! Ma, ovviamente, non è lei, perché sarebbe troppo scontato. Quindi ne restano cinque... E tra questi, leggendo il libro, si capisce chi sia l'omicida.
Il vero problema è che peggio si è fatto (se fosse possibile) con il film, uscito nelle sale italiane a inizio novembre.




C'è stata una pubblicità battente ovunque, sia in Gran Bretagna sia in Italia, che spacciava il film come “Il thriller che ha scioccato il mondo”, “Il thriller che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso”. “Che cosa ha visto?” ci si domandava nella locandina della versione italiana; e addirittura “Il thriller più dark e sexy dell'anno”! Quando, di fatto, le scene che si vedono sono molto più pudìche di quelle a cui si assiste in qualsiasi bar o discoteca durante il week end e sì e no si intravede qualche chiappa appannata tra una scena e l'altra. Fosse stato un Basic Instinct del 2016, avrei capito, ma in questo caso mi sembra tutto un po' fuori luogo. Insomma, tutta una serie di connotazioni che mancano la cifra sia del libro sia del film. Quest’ultimo, oltre alla bravata di ambientare la storia in America anziché renderle la giustizia dei cambi di stazione a Londra, punta tutto, ancora, sull'aspetto del thriller. Però gli elementi della storia che possano fare da carburante a un intrigo ben riuscito sono davvero pochi! Quindi ci si ritrova con un film che da una parte racconta male il thriller e dall'altra usa il materiale del libro (relativo alla psicologia dei personaggi) senza essere capace di renderla complessa e intensa come sulla pagina scritta. E, in realtà, nemmeno come si addirebbe a un film psicologico. Che dire se non che si tratta di un film che non sa trovare il suo binario e gli spettatori si ritrovano senza thriller, senza scene sexy e senza film drammatico.
Le individualità delle tre donne non vengono raccontate con sapienza e così Megan sembra esser stata uccisa per caso, Rachel è in grosse difficoltà ma ha poco più dei soliti alcoolizzati incasinati del grande schermo, Anna solo nella scena finale sembra partecipare del film, ma in una modalità che sembra non avere un senso, dato che nulla di lei è stato spiegato durante il resto della pellicola. Che comunque conta 112 minuti! Anche se analizzato dal punto di vista dell'assassinio da risolvere, la trama è assolutamente mal raccontata, così vengono lasciate sul libro quelle insinuazioni che trasformano i vari personaggi di volta in volta in probabili assassini, il climax (termine usato qui impropriamente) dell'intreccio non incalza la ricerca, i dubbi su chi sia il colpevole e la scoperta della verità.
Quando, nel giro di pochi minuti, si scopre chi è l'assassino, i tratti del personaggio sono così esili da non capire perché si è arrivati all'omicidio, e lo spettatore è stato coinvolto così poco nelle dinamiche di uccisione e morte, che anche scoprire chi sia il killer non interessa più di tanto. È solo una notizia che arriva senza rendere alla respirazione quel ritmo regolare che avrebbe dovuto perdere per via dell'ansia o della rabbia di compartecipazione alla storia.
Unica nota positiva: una grandiosa Emily Blunt, che riesce negli sguardi, nei movimenti incerti e nelle labbra tremanti a rompersi in lacrime silenziose, impotenti, che rendono molto bene la figura di Rachel.

Insomma, è andata bene (per il successo che il romanzo è riuscito a conquistare), ma questa storia proprio non ce l'hanno saputa raccontare. 

6 commenti:

  1. Era ora che tornassi a scrivere!!! Bravo

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  2. Bravo come sempre Vincenzo!
    ciao
    Marina

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    1. Ciao A te Marina! Mi è mancato molto scrivere e contribuire alla rivista insieme a tutti voi. Grazie!
      Vincenzo

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  3. Che piacevole ritorno con una recensione che coglie nel profondo e non solo l'apparenza. Bravo Vincenzo.
    Anto

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  4. Grazie del commento, Anto!
    Mi fa piacere tu abbia apprezzato, nella lunghezza dell'articolo, l'intenzione di andare in profondità.
    Vincenzo

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