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mercoledì 15 marzo 2017

Donne Esploratrici e Avventuriere - 4 Isabelle Eberhardt, una rockstar del diciannovesimo secolo


di Marina Fichera

Partire é la più bella e coraggiosa di tutte le azioni.
Una gioia egoistica forse, ma una gioia, per colui che sa
dare valore alla libertà.
Essere soli, senza bisogni, sconosciuti, stranieri e tuttavia
sentirsi a casa ovunque, e partire alla conquista del mondo.
                                                                                                                     Isabelle Eberhardt

Isabelle Eberhardt (Ginevra, 17 febbraio 1877 – Aïn Séfra, Algeria, 21 ottobre 1904) è, a mio parere, un personaggio che potrebbe entrare a pieno titolo nel famoso “Club 27”. Il gruppo di giovani e talentuosi artisti morti a ventisette anni di cui fanno parte, tra gli altri, Jim Morrison e Jimi Hendrix.
Isabelle è stata per certi versi una rockstar ante litteram. Esploratrice e scrittrice di successo, figlia illegittima di un’aristocratica donna russa, nata in Svizzera, cresce in un ambiente cosmopolita, colto e anticonformista. È una ragazza ribelle, iconoclasta, ma anche curiosa e affamata di esperienze, motivo per cui, fin da giovanissima, non esita a vestirsi da uomo per poter accedere ad ambienti maschili. Brillante studiosa, parla correntemente almeno sei lingue, tra cui l’arabo.


Isabelle adolescente in abiti maschili
 (foto dal web)

Il suo interesse per il mondo arabo-magrebino e l’Islam nasce nel 1888, quando suo fratello Augustin fugge dalla Svizzera verso l’Algeria, dove tenta di arruolarsi - senza successo - nella Legione Straniera. Isabelle inizia quindi a studiare la cultura delle regioni nordafricane e l’arabo.
Intorno al 1895 il fratello fugge nuovamente in Algeria ma questa volta viene arruolato. Isabelle e la madre Natalia decidono perciò di partire alla sua ricerca e si imbarcano dal porto di Marsiglia verso Bona, in Algeria. È il maggio del 1897. L’incontro con il Nord Africa sarà un colpo di fulmine, o forse solo la conferma di un destino già segnato nella vita della giovane e ribelle donna europea.






Ritratto di Isabelle Eberhardt
in abiti occidentali femminili
(foto dal web)
Durante questo primo soggiorno in Algeria accadono due cose che segneranno il futuro di Isabelle: la decisione di abbracciare la religione islamica e la morte dell’amata madre, avvenuta nel novembre del 1897. Dopo aver seppellito la madre nel cimitero islamico di Bona – nel frattempo anche lei si era convertita – torna in Svizzera con il tutore – e quasi certamente padre naturale - Aleksandr Trofimoskij.
A vent’anni Isabelle ha moltissimi progetti per il suo futuro, viaggiare e scrivere sono da sempre le sue passioni perciò inizia a cercare lavoro come giornalista. Purtroppo gli anni tra il 1897 e il 1898 sono segnati da altri due gravissimi lutti: il suicidio del fratello Vladimir e la morte per tumore di Trofimoskij. Isabelle non ha più alcun legame con la Svizzera e nel giugno del 1898 è a bordo di una nave diretta a Tunisi.
In Tunisia inizia a vestirsi alla beduina indossando candidi abiti berberi, si rasa completamente i capelli, e si fa passare per un giovane ragazzo il cui nome è Mahmoud Saadi. Ormai la vita di Isabelle non è più l’agiata esistenza europea che ha sempre disprezzato, e il suo bisogno di diventare una libera vagabonda prende finalmente corpo.

Un ritratto in abiti
magrebini maschili
(foto dal web)


In questi anni viaggia incessantemente tra i vari paesi nordafricani, alla ricerca continua di risposte di cui forse neanche conosce le domande, e inizia a sviluppare una visione fatalistica della vita, secondo cui tutto sarebbe già scritto. In questo stesso periodo pare inizi a fumare il kif, una droga che è un misto di tabacco, erbe e hashish.
Nel suo racconto “L’ufficiale medico” - pubblicato in Italia nella raccolta  “Il paradiso delle acque II” - in cui il personaggio principale ha forti tratti autobiografici, Isabelle descrive così l’incontro del protagonista, giovane ufficiale medico francese, con l’Algeria: “Dapprima provò fastidio, disagio. Sentiva tutta la vaghezza infinita di quell’orizzonte entrare in lui, compenetrarlo, illanguidire la sua anima e quasi offuscarla, anch’essa, in modo vago e indicibile. Poi, all’improvviso, sentì quanto la sua visione si allargasse, si estendesse, si addolcisse in una calma immensa come il silenzio circostante. E vide lo splendore di quel paese, la luce unica, trionfante, che dava vita alla pianura. (…) E amò la pianura.”.
Dopo un intensissimo biennio di viaggi tra il Maghreb e l’Europa, nell’agosto del 1900 torna a El-Oued,  in Algeria, sempre sotto spoglie maschili, e inizia a muoversi verso l’interno del Sahara.
Qui Isabelle conosce Sulimain Ehnni – o Slimène, alla francese -  un giovane ufficiale arabo del reggimento di cavalleria denominato Spahi, di stanza a El-Oued. È un amore travolgente, eccessivo, come tutto ciò che fa e prova la giovane avventuriera.
Nello stesso periodo viene in contatto con la confraternita islamica sufi della Qadriyya e diventa una loro iniziata. È sedotta, affascinata, dalla disciplina mistica sufi che diverrà parte fondamentale della sua vita.
Il 29 gennaio 1901 accade però uno strano episodio, Isabelle è accoltellata alle spalle da un uomo e ciò permette alle autorità locali francesi di avere una buona scusa per espellere dall’Algeria, nel maggio dello stesso anno,  "questa signorina russa che s'abbiglia in costume arabo".
In realtà tutto nasce perché Isabelle è ormai un personaggio noto e molto scomodo per la Francia colonialista. Nelle sue collaborazioni con alcune riviste europee e nordafricane infatti non esita a criticare aspramente la politica coloniale francese in Nord Africa.
Sempre in “L’ufficiale medico” Isabelle descrive così l’incontro del protagonista con gli algerini: “Era già li da cinque mesi. Ora sapeva parlare la lingua del deserto, capiva quegli uomini che, all’inizio, gli erano sembrati così misteriosi e che, dopo tutto, erano solo uomini come tutti gli altri, né peggiori, né migliori, solo diversi. E per l’appunto, se Jacques li amava è perché erano diversi, perché non c’era in loro quella specie di volgarità accentuata che aveva detestato in Europa.”
E conclude il racconto con l’ufficiale costretto ad andarsene e constatare che lui “Difatti non assomigliava agli altri, e non voleva piegare la testa sotto il giogo della loro tirannica mediocrità.”
L’espulsione dura poco, Isabelle tornerà in Algeria nell’estate del 1901 – in abiti magrebini femminili, questa volta - per testimoniare al processo dell’uomo che l’ha accoltellata. L’uomo dichiara: “Allah mi ha ordinato di uccidere M.lle Eberhardt che, contrariamente alle nostre abitudini, si abbiglia in modo maschile e porta scompiglio nelle nostre regioni.”. L’imputato  viene condannato a dieci anni di carcere, ma alla fine del processo Isabelle è costretta nuovamente a lasciare il Paese e il suo adorato Slimène.

Un ritratto in abiti
magrebini femminili
(foto dal web)

Tornata in Francia, a Marsiglia, da sola, si trova ad affrontare un periodo di difficoltà economiche – pubblica solo qualche articolo - e di problemi fisici. Scriverà in uno dei suoi racconti: “Ricordi nostalgici! Ricordi nostalgici disseminati a Marsiglia, smarriti come grandi uccelli che stanno per ripartire, che si posano solo un istante!”.
Nel mese di ottobre Slimène la raggiunge e viene celebrato il loro matrimonio. In questo modo Isabelle acquisisce la cittadinanza francese e potrà quindi, qualche mese dopo, rientrare con il novello sposo nell’amata Algeria.
Dal 1902 il rapporto con l’Europa s' interrompe definitivamente, smetterà anche di scrivere al fratello Augustin. Ha un rifiuto totale di tutto ciò che la sponda nord del Mediterraneo rappresenta per lei: il degrado morale, l’ipocrisia e l’arroganza, contrapposte alla semplicità, spontaneità e autenticità del Nord Africa.
In Algeria conosce lo scrittore, e giornalista per la rivista La Revue Blanche, Victor Barrucand e grazie a lui inizia una proficua collaborazione per varie testate giornalistiche.
Dal 1903 Isabelle viaggia tra deserto, tribù e guarnigioni militari francesi. I suoi articoli  pubblicati sulla rivista filoaraba Akhbar, destano scalpore e attirano l’attenzione, tanto da essere riproposti anche sull’importante testata Le Dépêche algérienne.
Isabelle diventa famosa, finalmente può vivere come ha sempre desiderato, libera, nomade, e può fare ciò che ha sempre amato, scrivere. Purtroppo però, pur avendo poco più di venticinque anni, la sua salute inizia a vacillare gravemente. Ha vissuto ogni attimo della sua giovane vita strappando esperienze ed emozioni al tempo, ma ora questo le presenta un conto molto salato.
A inizio ottobre del 1904 è costretta a farsi curare in ospedale in preda alla febbre malarica. Il 21 ottobre decide però di lasciare il ricovero, nonostante il parere contrario dei medici, perché quel giorno il marito la raggiungerà a Aïn Sefra, dopo una lunga separazione.
La mattina di quel venerdì d’autunno un’improvvisa e paradossale piena di acqua e fango colpirà l’oasi algerina di Aïn Sefra. Isabelle Eberhardt verrà ritrovata solo alcuni giorni dopo, sotto il pantano e le rovine. Pare abbia osservato la piena arrivare dal balcone della casa, senza neanche tentare di sfuggire alla morte. Aveva appena ventisette anni.
Nel racconto “Il Vagabondo” Isabelle scrive, quasi come fosse una profezia: “Essere soli è essere liberi,e per il carattere del vagabondo la libertà era la sola gioia a cui si poteva pervenire. Allora si disse che la sua solitudine era un bene e il suo animo fu pervaso da una grande pace malinconica. (…) La notte estiva, scura e stellata, scese sul deserto. Lo spirito del vagabondo lasciò il suo corpo e se ne volò per sempre verso i giardini incantati e i grandi bacini azzurrati del Paradiso delle acque.”
Dieci giorni dopo la tragedia il suo articolo “Orgia nera” viene pubblicato su Le Dépêche algérienne. L’episodio desta molta emozione e rende improvvisamente la scrittrice quasi leggendaria.
L’amico Victor Barrucand contribuirà a far crescere ancora di più il mito della giovane e sfortunata scrittrice e viaggiatrice. Victor recupera dal fango numerosi scritti ancora inediti e, nel 1906, cura la prima pubblicazione di una raccolta di testi d' Isabelle. Il lavoro però viene molto criticato dagli amici della scrittrice, poiché Barrucand ha apportato ai testi  modifiche e censure fin troppo palesi.
Solo molti anni dopo verranno pubblicati vari libri riportanti i testi originari, mentre l’opera omnia sarà stampata in Francia solo alla fine degli anni ’80. In Italia Isabelle Eberhardt è pubblicata sistematicamente solo a partire dal nuovo millennio, in una felice riscoperta di una figura femminile fuori da ogni schema, una vera rockstar del diciannovesimo secolo.

Bibliografia in italiano:
“Scritti sulla sabbia” ed. Mursia
Nel paese delle sabbie” ed. Ibis – 2000
“La via del deserto. Vol. 1: Yasmina e altre novelle algerine.” ed. Ibis – 2002
“La via del deserto. Vol. 2: Il paradiso delle acque” ed. Ibis – 2003
 “Pagine dall'Islam” ed. La Vita Felice - 2013

Altri testi dedicati a I. Eberhardt in italiano:
 “Voglia d'Oriente: la giovinezza di Isabelle Eberhardt” di Edmonde Cherles-Roux, ed. Bompiani - 1990;

“Isabelle amica del deserto. Una vita breve di passione e avventura” di Mirella Tenderini ,
ed. Alpine Studio - 2016

2 commenti:

  1. Ciao Marina, articolo interessanete e molto particolare.
    Brava!!
    Patrizia e Alice

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