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mercoledì 15 luglio 2015

Uzbekistan: sorrisi lungo la Via della Seta

Appunti sparsi di viaggio di Marina Fichera

La Via della Seta, la lunga strada commerciale che ha collegato per centinaia d’anni Occidente e Oriente, ha da sempre esercitato su di me un potente fascino, in un misto di esotismo e avventura, complici anche le storie di Marco Polo e dei moderni esploratori del XIX e XX secolo, tra cui ricordo Ella Maillart, Aurel Stein, Paul Pelliot - che hanno avuto la fortuna di vivere in un’epoca in cui era ancora possibile viaggiare per scoprire nuovi mondi. Io la sto ripercorrendo a tappe, con il sogno di riuscire, prima o poi, a fare un unico viaggio via terra, da Venezia a Xi’an.

Samarcanda, la piazza Registan
(foto di Marina Fichera)


L’Uzbekistan, ex repubblica sovietica, è al centro della fascinosa Via della Seta, lungo l’asse che collega Venezia a Xi’an, in Cina, passando da Istanbul, e da Samarcanda. É uno Stato senza sbocco sul mare, stretto nell’immensa pianura dell’Asia Centrale tra cinque paesi i cui nomi finiscono tutti per “istan”:  Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan e Turkmenistan.
Dopo decenni di dominazione sovietica – durante i quali le tradizioni e i credo locali erano stati proibiti - e spinto dall’attuale regime di Karimov, il paese ha recentemente riscoperto la religione islamica e la propria storia, con l’antico emirato di Bukhara e il potente khanato di Khiva, ma soprattutto con l’onnipresente Tamerlano – Temür Lenk, lo zoppo - il conquistatore uzbeko del XIV secolo, i cui mausolei, statue e resti di mastodontici palazzi sono una delle principali attrazioni del paese.

Shahrisabz, le imponenti mura del palazzo di Tamerlano
(foto di Marina Fichera)
Il mio viaggio inizia da ovest, dall’antica città di Khiva, un tempo conosciuta come la "città degli usignoli". Persa in una piana desertica ai confini con il Tagikistan, questa cittadella fortificata è fatta di argilla e maioliche azzurro lapislazzulo che ne ricoprono le madrase – le antiche scuole coraniche di cui è disseminato l’Uzbekistan - i minareti e le cupole delle moschee. La luce è abbagliante e per esser maggio fa già caldo, per fortuna un caldo secco. Tutta la città è solo di due colori: ocra e azzurro, come in una rappresentazione, tipicamente islamica, dell’unità della terra con il cielo. Questa è la città più autentica di tutto il paese, quella che ha subito meno danni post invasione bolscevica. Khiva sembra sospesa in un’epoca indefinita, a cavallo tra Gengis Khan e la caduta dell’Unione Sovietica, senza uscire completamente dal proprio passato di argilla e cielo.

Vista di Khiva dalla cinta muraria
(foto di Marina Fichera)
A mio parere Bukhara è la città più bella del paese, sia per la varietà dei suoi monumenti sia per la serenità che si respira nelle sue strade.  Il clima è mite, forse perché c’è molto verde. Attendo il tramonto, passando alcune ore da sola, a guardare la gente passeggiare in una bellissima piazza con una grande vasca d’acqua, cespugli di rose e grandi alberi frondosi. Famiglie con bambini, amiche, uomini, anziani e giovani, tutti camminano tranquillamente per la piazza, senza fretta, direi senza una meta precisa se non quella di andare a spasso e prendere il fresco. “Rubo” attimi della loro quotidianità scattando innumerevoli foto. 
Bolo Hauz, la moschea dell'emito di Bukhara
(foto di Marina Fichera)
Alcune delle moschee di Bukhara hanno porticati con altissime colonne in legno dipinte con maestria e raffinatezza, esempi dell’antica architettura islamica che non esistono nelle altre città. In Uzbekistan l’Islam è ovunque presente in modo concreto ma discreto, le donne non sono velate, alcune ragazze portano la minigonna, c’è un’apertura alla modernità che nasce come retaggio della dominazione sovietica, professante l’ateismo di stato.
Madrasa del Chor minore, Bukhara
(foto di Marina Fichera)
Sul pullman le ore di viaggio diventano spesso troppe, e quando finalmente arriviamo a  Samarcanda iniziamo a cantare l’omonima canzone di Vecchioni, in un’esplosione di stanchezza, aspettativa ed eccitazione. 
Samarcanda, leggendaria città che sotto il regno di Tamerlano fu capitale dell’intera Asia Centrale, crocevia di culture e razze umane che per secoli è stato il perno della Via della Seta, Samarcanda l’incomparabile, la magnifica, è un sogno che si materializza davanti ai miei occhi.
Il luogo più rappresentativo e famoso della città è la piazza Registan, così descritta da Ella Maillart nel suo libro  “Vagabonda in Turkestan” del 1934: 
“La piazza Registan è superba: tre dei suoi lati sono costituiti dalle alte facciate delle madrase restaurate con grande passione dall’architetto Vjatkin. (…) A ogni angolo si innalza un minareto isolato, i cui mattoni disegnano losanghe di colore blu scuro…”.  
Il complesso monumentale circonda uno spazio enorme, tutto è maestoso, luminoso e brulica di vita, affollato com’è da locali e turisti di ogni nazionalità. Anche qui dominano l’azzurro e l’ocra in un infinito intreccio di figure geometriche armonicamente amalgamate a frasi in arabo e – cosa atipica per l’arte islamica – rappresentazioni di animali. Resto imbambolata senza riuscire a staccarmi dalla piazza, come attirata da un’energia potentissima. La Via della Seta mi scorre davanti agli occhi come in un sogno senza tempo.
Particolare della piazza Registan, Samarcanda
(foto di Marina Fichera)
Ho voglia di andare a fotografare la piazza Registan all’alba, ma la guida uzbeka – questa volta viaggio con un importante Tour Operator italiano – ci dice che non è possibile. A quel punto io e una compagna del gruppo decidiamo che vogliamo andarci lo stesso e ci diamo appuntamento per le 5:30 della mattina seguente. Il cielo è terso e azzurro, il sole sta sorgendo alla destra del grandioso complesso monumentale e quando arriviamo sulla piazza, dopo circa una ventina di minuti di cammino in una Samarcanda deserta, la luce è magnifica. Non c’è quasi nessuno se non uno o due assonnati poliziotti. Esaltate come bimbe che hanno marinato la scuola  iniziamo a scattare foto da tutte le angolazioni, correndo a destra e a manca per non perdere le ombre e le luci migliori. Dopo poco vediamo avvicinarsi un gruppo di signore uzbeke, vestite elegantemente negli abiti tradizionali, tutte anziane tranne l’accompagnatrice, una ragazza con dei bellissimi occhi color ambra. Le signore ci vedono e si avvicinano rapidamente a noi sorridendo con i loro denti ricoperti d’oro e, anche se non parliamo una sola parola di una stessa lingua, bastano gli sguardi e i sorrisi per capirsi e fare amicizia.
Samarcanda, incontri inaspettati all'alba
(foto di Marina Fichera)

I segni della dominazione sovietica sono ancora presenti dappertutto. Le moderne città quali la capitale Tashkent sono plasmate secondo i modelli tipici dell’architettura bolscevica, e vecchi mezzi di trasporto, sia pubblici sia privati, girano ancora per il paese. Ma il controllo fu principalmente di carattere culturale e sociale, e solo nel 1993 sono stati reintrodotti i caratteri latini nella lingua uzbeka, per cui tutto ciò che precede tale anno è ancora scritto in caratteri cirillici.
Bus Uzbeko
(foto di Marina Fichera)
I visi del popolo uzbeko sono la dimostrazione che la Via della Seta rappresentò la prima globalizzazione della storia umana. Un miscuglio di razze, colori, sguardi che rende gli uomini e le donne uzbeke affascinanti. Profondissimi occhi neri orientali su importanti nasi caucasici, zigomi alti di origine mongola, biondi russi e occhi color ambra dalle steppe dell’Asia centrale, tutto si mischia e si manifesta in volti aperti e sinceri. Una cosa molto strana per noi è l’usanza di dimostrare la propria ricchezza ricoprendo, nel corso dell’intera vita, tutti i denti d’oro zecchino. Capita abbastanza di frequente d’incontrare simpatiche vecchiette con sorrisi a 24 carati!
Sorrisi uzbeki
(foto di Marina Fichera)
Un altro tassello si è aggiunto al mio progetto di ripercorrere la Via della Seta, la mia sete di conoscenza è appagata anche questa volta. E dal viaggio dorato per Samarcanda torno a casa con gli occhi pieni di bellezza, azzurro e sorrisi.

Noi non viaggiamo solo per il commercio
i nostri cuori ardenti sono alimentati dai venti più caldi:
per la sete di conoscenza di ciò che non si dovrebbe conoscere
abbiamo intrapreso il Viaggio Dorato per Samarcanda.
James Elroy Flicker, The Golden Journey to Samarkand  - 1913


4 commenti:

  1. Quanti ricordi legati a questo viaggio fatto anni fa.
    Sei bravissima.
    Anna

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    1. Un viaggio bellissimo!
      grazie Anna, un saluto
      Marina

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  2. Ciao Marina,
    è molto bello il tuo articolo come pure le foto.
    Questo è proprio un viaggio che mi piacerebbe fare!!
    Patrizia

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    Risposte
    1. Patrizia se un giorno decidessi di farlo sono a tua disposizione per qualsiasi informazione!
      ciao
      Marina

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