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venerdì 29 maggio 2015

Silenzi

di Vincenzo Zaccone  





Una piccola villa sulle alture di Castello Dell'Acqua, quella provincia di Sondrio che si disperde sulla sponda orobica valtellinese, un pugno di case a strapiombo sulle montagne coperte da un manto di boschi, la valle cinta dalla Malgina e dall'Armisa, nascosta agli sguardi indiscreti da monti impervi; poche strade lastricate di silenzio risalgono dalle valli più basse e ridiscendono per confluire in quelle più trafficate che corrono, spaventate da quell'isolamento, verso la città. In una notte che s'inizia a una timida primavera, le cime degli alberi sono sgravate dalla neve, l'aria è ancora densa per una nebbia che riempie di spettri la gola del paese, i rumori delle auto restano troppo lontani, annegano nell'odore pungente di roveri e lo scrosciare cantilenante dei due fiumi sale fino alla casa della famiglia Tito.


I signori Tito da sempre avevano abitato un po' in disparte rispetto al vecchio e piccolo centro abitato di Castello Dell'Acqua, in quella casa a  due piani,  con il tetto spiovente dalle travi in legno, come i balconi, le persiane, la scala esterna per accedere direttamente alla soffitta. Quella notte, molto tardi, l'altalena appesa sotto il portico e simile alla corda di un cappio, ondeggiava lentamente colpita da un lieve vento che  sembrava  spazzare  l'oscurità della notte per lasciare lentamente  sorgere la luce  del giorno.
All'interno della casa,  oltre le persiane della cucina, si poteva intravedere una sagoma silenziosa e immobile, in attesa. Cristina parcheggiò di fronte casa, cercò di entrare evitando di far rumore, ma poi, come al solito, Remì, appena sentì la porta schiudersi, corse a strusciarsi contro le gambe della padrona, troppo sbronza per dedicare qualche carezza al felino che, risentito, puntò le zampe anteriori contro il pavimento,  alzò il muso per aria  cercando nel buio l'attenzione della  ragazza e,  non ottenendo nemmeno un distratto buffetto,  iniziò a fare le fusa e miagolare.  A quel punto Cristina, certa ormai che ogni suo intento di non svegliare suo padre fosse vano, ebbe infatti la sorpresa, mentre cercava di defilarsi verso la sua stanza, di trovarselo di fronte, in corridoio, come un'ombra rapace, creata dalla luce che filtrava dalla finestra socchiusa della cucina. La ragazza guardò quella macchia di fronte a sé e biascicò nervosa:
-  Ehi, ma tu eri già sveglio? Stavo cercando di fare piano, ma eri già in piedi? Eri venuto in cucina a bere?
Il padre cercò l'interruttore lungo il muro, lo trovò, e al secondo tentativo riuscì ad accendere la luce; aveva un viso che era più scuro di qualche secondo prima, guardò sconfitto sua figlia e parlò con tono forte e sicuro:
Veramente, non è la prima sera che ti aspetto sveglio – disse con una voce che non conosceva il sonno – in realtà, ogni volta che esci con gli amici, quando arriva una certa ora ti aspetto lì alla finestra, guardo il cortile tra le fessure delle persiane finché non ti vedo arrivare.
- Ma babbo, ho ventun' anni; ormai è da tre che guido l'auto e non ho mai avuto un incidente, di che cosa ti preoccupi? Stai tranquillo.
- Mi preoccupo solo che torni a casa, amore mio, e che sia tutto a posto. Solo questo. Infatti le altre volte me ne sono sempre stato fermo di là, impalato davanti alla finestra, e non dico nulla. Nemmeno mi giro a guardare in che condizioni sei quando superi la porta della cucina e sali le scale per andare in camera.
- Ma lo sai che torno da te, dove vuoi che vada a dormire? Non faccio nulla di male, sto un po' con gli amici, ci si diverte e poi ritorno.
- Sì, lo so, ma sai quanto ci tengo a te, son sicuro che non fai nulla di male, però mi sono accorto che hai l'abitudine di bere. Quando torni ogni..
- Dai, papà, e questo non è tenere sotto controllo? - Cristina distolse lo sguardo, mentre con passo deciso si mosse nella direzione del padre, aggirandolo e passando alle sue spalle. Si fermò. - Posso andare a letto adesso?–
- No, figliola mia, non sentirti oppressa perché ti ho espresso quel che ho notato. D'altronde, te l'ho detto,  sembra essere una tua abitud..
- Oddio, addirittura un'abitudine! Quando si va fuori è normale bere un po' mentre si chiacchiera, ciò non vuol dire che mi ubriaco pesantemente – pronunciò, rallentata dai tre Invisibile alla maracuja che aveva bevuto -  infatti ti ho dimostrato di esser sempre riuscita a tornare a casa da sola, mi pare, guidando e percorrendo queste stradine di montagna senza problemi.
Il signor Tito corrugò la fronte, sentendo che le sue attenzioni erano state travisate e ribattè:
Cristina, ma fammi finire di parlare, perché è normale che io abbia fiducia in te e non ci trovo nulla di male se alzi un po' il gomito quando sei con gli amici, infatti ti ho detto che non è la prima sera che torni in questo stato. Però vedo che torni, che stai bene, e non ti dico niente. Di solito aspetto in silenzio qui in cucina e ti ascolto sbattere le tue cose un po' ovunque in camera, nel tentativo di metterti a letto; quando capisco che ti sei messa a dormire, vado pure io.
- E allora, stasera che ti prende?
Ci fu una lunga pausa di silenzio, suo padre sembrò cercare di capire se fosse il momento di parlare e cosa dire:
Te l'ho detto, ogni sera ti aspetto in piedi e ti guardo dalla finestra quando torni, il tuo modo di fare mi lascia perplesso ..
Un fiume di rabbia inondò lo sguardo di Cristina, che urlò:
Ma che fai, mi spii pure? Devi seguire i movimenti che faccio? Torno a casa ogni volta, non ti lascio mai solo. L'ho sempre fatto. Non ti basta? Devi per forza controllare tutto quanto?
Ma che dici – si difese suo padre, spaventato dal tono esasperato di Cristina – Io ho solo intenzione di parlare con te, come facevamo quando eri bambina. Poi sei cresciuta ed è ovvio che i rapporti siano cambiati un po', ma tu sei sempre la mia bimba.
Il sorriso che si disegnò sul volto dell'uomo, profondamente segnato dagli anni,  fece ancora di più venire rabbia a Cristina, che s'avviò in cucina cercando di distogliere l'attenzione da suo padre nel tentativo di opporre qualche forma di resistenza a quell'odio che l'alcool, in quel momento, le impediva di trattenere. Fece il giro del tavolo, poi si fermò, afferrò con due mani la spalliera della sedia, stringendola con forza per scaricarle addosso la rabbia finora repressa e non riuscì a controllare le parole:
La tua bambina? Cosa vuoi, eh? Dimmi ancora cosa vuoi! Sono anni che siamo io e te qui dentro, ogni volta che faccio qualcosa per me sembra quasi mi debba sentire in colpa perché in qualche modo ti trascuro. Trovi sempre il modo di rinfacciarmi che non penso a te, ma mi pare di averlo fatto per ben troppo tempo, non credi?
- Ma tu ti comporti in maniera strana, sei scostante – le disse il padre mentre la seguiva intorno al tavolo, mantenendo tuttavia una certa distanza da lei - negli ultimi mesi mi rivolgi a stento la parola, ti devo sempre rincorrere per parlare un po' con te. E ogni week end esci con gli amici, io non ho idea di dove vai, so solo che torni sempre ubriaca e che ti sbatti da una parte all'altra al piano di sopra prima di riuscire ad andare a letto. E poi te l'ho già detto, ti guardo dalla finestra quando torni, so che non entri subito in casa..
Cristina puntò gli occhi sul padre, contro quella tranquillità con cui violava la sua vita, l'impertinenza con la quale cercava di estorcerle pensieri che lei non aveva mai voluto condividere e senza cogliere la gravità della cosa, come se rientrasse nel suo diritto di padre. Si staccò da quella sedia, cercando la via di fuga da quella cucina, da quella vita, e a lunghi passi si mosse in direzione delle scale. Ma il padre dall'altra parte del tavolo allungò entrambe le braccia e bloccò la figlia urlandole:
Perché ti fermi ogni sera a guardare giù nel burrone?
Cristina lo guardò sconcertata, incredula a quella domanda insensibile, inopportuna; si girò completamente verso di lui, tornò ad alzare il tono di voce digrignando i denti:
Ma cosa credi, che mi voglia uccidere, eh? Hai paura di questo: che mi butti giù e ti lasci solo? E' possibile che il tuo egoismo arrivi a tale punto e non ti abbandoni mai? Mai! Nemmeno per un attimo! Beh, non mi voglio suicidare, stai tranquillo, ti farò compagnia finché non crepi, sei contento? Vai a letto adesso!
- Ma allora perché lo fai ogni sera? – l'uomo lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, quasi a dimostrare tutta la sua stanchezza fisica e morale,  avvilito dalle parole dure della figlia – Ti vedo sempre lì, immobile e, anche se non riesco a guardarti nel buio, so che sei triste. Che ti prende?
E' morta lì, papà! Cazzo, è caduta in quella scarpata e io ero lì con lei! - disse imprecando con le mani –  Fino a un momento prima mi teneva la mano e parlava con me, un attimo dopo l'ho vista disperarsi mentre sgomenta e distrutta cercava di appigliarsi alle pietre, all'erba, nel vano tentativo di salvarsi conficcando le unghie nella terra! Tu non l'hai vista in faccia mentre scivolava, terrorizzata! – Un singhiozzo le stroncò la voce, le lacrime risalivano dalle pendici di quel passato e insieme all'alcool incendiavano i ricordi.   – Poi era riuscita ad afferrare dei rovi, a resistere per un po' alle spine, mentre le braccia le si rigavano di sangue! Mi guardava con gli occhi sbarrati, fissi nell'orrore di morire, senza nemmeno urlare: era paralizzata da quanto stava accadendo! Poi non ce l'ha fatta più, è caduta..  - Il pianto fermò le sue parole, ma non quelle del padre.
Ma guarda che anche per me è vivo il ricordo di quel giorno, ti avevo trovato a piangere lì in cortile quando sono rientrato dal lavoro. Tremavi come una foglia, ci hai messo un bel po' prima di riuscire a dirmi cosa fosse successo. Per giorni non hai detto una parola..
- Sì! Io stavo zitta e tu facevi altrettanto. Non hai mai voluto parlare davvero di quello che era successo, hai sempre tirato dritto come se fosse necessario seppellire tutto insieme alla mamma e non parlarne più. E allora, adesso, se mi fermo per fatti miei a pensare a lei prima di rientrare a casa, lasciami stare!
- Sei ingiusta con me, Cristina, perché per me quel giorno è stato terribile, terribile accettare che fosse morta, e in quel modo, ricominciare la vita di tutti i giorni senza mia moglie. Ma io avevo te, avevo il tuo amore, e questo mi ha aiutato pian piano a venirne fuori. Son passati tredici anni dalla morte di tua madre e mi fa male sapere che il ricordo ancora ti angoscia. Lo so, non siamo mai tornati sull'argomento, ma ho sempre pensato che tu preferissi non parlarne per riuscire a dimenticare. E' per questo che ti ubriachi tutte le sere?
Cristina lo guardò con disgusto e rabbia per quella lontananza dal suo modo di percepire le cose, si tirò indietro verso il muro, abbassò lo sguardo, socchiuse gli occhi ma l'alcool montò alla testa, esasperando i sentimenti che provava in quel momento verso un padre che sentiva falso, ipocrita e lontano da sé. Sgranò le pupille cercando di farsi largo nel turbinio d'immagini che le affollavano la mente, rivide le mani sanguinanti di sua madre, lo sguardo sconvolto, spaventato, deturpato ed esplose in lei il bisogno di liberarsi una volta per tutte di quell'ossessione, di sua madre che continuava a visitare i suoi sogni e risaliva il precipizio da viva e tornava per lei.. Guardò  suo padre con aria di sfida, gridandogli contro:
L'ho spinta io in fondo al burrone, papà! Ho aspettato che fosse lì, vicino all'orlo del precipizio, mi sono messa a correre e le ho dato una spinta! Con tutta la forza che avevo, piena di odio verso di lei!
- Ma cosa dici, Cristina, finiscila!
- Sì, sono stata io! - la ragazza appoggiò le spalle al muro e poi si lasciò scivolare giù fino a terra, mentre un urlo faceva esplodere la sua rabbia – Sono stata io – Ripeté, mentre abbassava lo sguardo nel vuoto - Aveva trovato il mio diario, papà!
Ma.. ma.. cosa dici? Io non capisco, non ti seguo più – rispose il padre voltandole le spalle e cercando di allontanarsi da quella confessione.
La mamma aveva trovato il diario – sbottò, mentre le lacrime scendevano da sole e suo padre si aggirava per la stanza – e aveva letto di quando la notte venivi a dormire un po' con me nel letto.. e di quando mi portavi nel bosco e mi facevi spogliare e poi ti spogliavi anche tu. Di come ero felice quando mi dicevi che volevi stare con me, di come mi piaceva sentirmi la tua principessa, sentirmi parte di te... di quanto questo sentimento si univa al disagio di sentirti eccitato addosso, al fatto di non capire cosa c'entrasse l'amore con tutto quello schifo! Avevo cinque anni, a quell'età non esiste il sesso, lo capisci? - lo guardò come si fa con l'origine del male – Io ero confusa dal tuo atteggiamento: desideravo intensamente continuare a essere per te “il tuo amore”, ma non capivo il tuo modo di fare che mi metteva a disagio! E' stata una violenza psicologica ancor prima che sessuale! -
Distaccò lo sguardo, vinta dal dolore imprevisto che quella confessione aveva strappato a chissà quale meandro della sua mente; poi continuò:
Quel pomeriggio continuava a dirmi che non andava bene, che non dovevamo fare quelle cose, che avrebbe parlato con te perché era sbagliato. Nella mia testa riuscivo a vedere solo che ti avrebbe allontanato da me, ci avrebbe separato e io non avrei più potuto essere il tuo unico tesoro, “l'unica cosa bella” per te, come  mi dicevi sempre. L'ho spinta giù perché non volevo accadesse, perché preferivo perdere lei piuttosto che il mio amorevole padre! -
A quel punto Cristina apparve del tutto distrutta, svuotata e con un filo di voce disse:
E così siamo rimasti tu e io. 
Il padre le dava ancora le spalle quando Cristina smise di parlare, poi girò il viso di tre quarti verso la figlia, con la testa bassa, lo sguardo spento, appoggiò una mano contro il muro, dischiuse le labbra ma stette in silenzio. Poi con voce mortificata disse:
Cristina, io..
La voce di quell'uomo in quel momento squarciò il velo di oppressione con cui Cristina aveva ammantato i giorni passati in quella casa, da sola con suo padre, in quel mondo chiuso e morboso in cui l'aveva riempita di attenzioni e fatta sentire importante; quel crudele amore aveva pian piano distrutto ogni cosa, impedendole di avere un rapporto felice con sua madre. In quel momento la ragazza non sopportò più la voce di suo padre, il ricordo di quando  la chiamava a sé e le diceva che aveva la pelle degli angeli, quello starsene lì, schivo, cercando di rifuggire le confessioni della figlia. Qualcosa dentro Cristina si mosse con violenza, senza avvisarla, e la costrinse a mettersi in piedi con  occhi furenti; ogni  tratto del suo viso si alterò, si indurì, si contrasse sotto l'effetto incontrollato di  un'intenzione che in quel momento era ormai in essere e, senza rendersene conto, impugnò di nuovo con entrambe le mani la spalliera della sedia di legno e urlò:
Perché lo hai fatto? - E un lungo grido aggredì ogni cosa.
Cristina sollevò con furia la sedia e la abbattè addosso a suo padre. Ripetutamente, con insistenza, in modo cieco, risoluto, insensibile; più e più volte, quante poi lei non seppe mai dire. Sulla schiena, sulle braccia, contro la testa, contro gli zigomi che si fratturavano sotto i colpi del legno e quando il padre cadde a terra dolorante lo rigirò supino per cercarne il viso e iniziò a infierire perché aveva bisogno di vedere il suo volto bagnarsi di sangue, la sua mascella rompersi sotto il peso della sua volontà, i suoi denti scheggiarsi contro le gambe della sedia, i suoi occhi iniettarsi di morte.
Non ebbe il tempo di capire cosa stesse facendo, andò avanti famelica, nella compulsione di cancellarlo e nella bulimia violenta di non sentirlo più respirare. Quando un colpo profondo fece schizzare dei fiotti di sangue, questi le imbrattarono il viso e percolarono tra i denti che sorridevano; in quell'istante, finalmente, Cristina riconobbe una sensazione di compiutezza, sentì l'odore acre della felicità cospargere le sue carni tornate, di nuovo, monde.

4 commenti:

  1. Belle le immagini che evochi nel finale!
    Loredana

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  2. Son contento ti sia piaciuta la parte più crudele del racconto, Loredana :)
    Grazie per avermi espresso la tua opinione.
    Alla prossima

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    1. Ma la parte più crudele non è nel finale, gli abusi del padre sono la cosa più agghiaggiante (direbbe Conte).

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  3. Struggevolmente eccezionale juanito

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