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venerdì 12 dicembre 2014

"Quando la Sicilia fece guerra all'Italia", di Alfio Caruso

(a cura di Mimma Zuffi)

Longanesi Editore - collana »Il Cammeo« 

pagg. 320 - € 16,90


Il racconto dei sette anni di disordini e anarchia in Sicilia,
tra il 1943 e il 1950, che portarono al legame tra mafia e Stato


C’è una guerra non dichiarata (e semisconosciuta) che si è combattuta in Sicilia fra il 1943 e il 1950, tra lo sbarco degli anglo-americani e l’uccisione del bandito Salvatore Giuliano. Il numero finale dei caduti, nonostante manchi una contabilità ufficiale, oscilla tra i 1500 e i 2000: soldati, indipendentisti, fascisti, comunisti, sindacalisti, gente comune. Di volta in volta cambiarono i pupi e gli scenari, mentre il puparo rimase sempre sempre il Partito unico siciliano, il Pus (massoni, imprenditori, boss di Cosa Nostra, politici di ogni colore, giudici). E suoi alla fine furono i guadagni. Furono sette anni di anarchia e terrore con lo Stato ospite indesiderato.


Cominciarono gl’indipendentisti, cioè i grandi proprietari terrieri per difendere anche i centimetri dei latifondi. Proseguirono gli agitatori fascisti per sabotare la leva obbligatoria in favore dell’esercito della nuova Italia. Poi avvennero le rivolte contro la politica dell’ammasso, la guerriglia per il pane, la ribellione di Catania, di Comiso, di Piana degli Albanesi, di cento altri comuni, dove l’esercito per ristabilire l’ordine fu costretto a utilizzare mitragliatrici, cannoni, blindati. A intorbidare ancora di più le acque provvidero la congiura per instaurare a Palermo una monarchia con i Savoia e l’arruolamento della banda di Salvatore Giuliano nell’Esercito dei volontari per l’indipendenza siciliana. Ne sarebbe discesa la strage di Portella delle Ginestre sulla quale da quasi settant’anni continuano i depistaggi. Nell’ombra tramavano i boss della mafia. Avevano individuato in Giuliano lo strumento perfetto dei propri disegni, lo fecero diventare il pericolo pubblico numero uno per ricattare le istituzioni e contrattare il prezzo della consegna: l’inossidabile alleanza fra la disonorata società e rappresentanti dello Stato, che sarebbe proseguita per oltre mezzo secolo.


Alfio Caruso, nato a Catania nel 1950, è autore di sette romanzi, thriller politici e di mafia e di due

saggi di sport con Giovanni Arpino. Con Longanesi ha inoltre pubblicato: Da cosa nasce cosa (2000), Italiani dovete morire (2000), Perché non possiamo non dirci mafiosi (2002), Tutti i vivi all’assalto (2003), Arrivano i nostri (2004), In cerca di una patria (2005), Noi moriamo a Stalingrado.

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